Danni post operazione: il modulo del consenso informato non richiede la firma dei medici

Per dolersi utilmente della lesione del diritto all’informazione sanitaria, invece, il paziente deve dimostrare vizi sostanziali, quali la genericità delle informazioni, la loro incomprensibilità, la riferibilità del consenso ad un intervento diverso da quello eseguito o la sottoscrizione in condizioni di incapacità di comprensione

Danni post operazione: il modulo del consenso informato non richiede la firma dei medici

Nell’ambito sanitario il modulo del consenso informato ha la finalità di documentare il consenso prestato dal paziente, ma non è indicativo della sua natura esplicita, della sua chiarezza e della sua inequivocabilità. Ampliando l’orizzonte, la mancanza della sottoscrizione dei medici sul modulo non comporta automaticamente la lesione del diritto all’informazione sanitaria del paziente, purché il consenso sia stato validamente prestato. Perciò, per dolersi utilmente della lesione del diritto all’informazione sanitaria, il paziente deve dimostrare vizi sostanziali, quali la genericità delle informazioni, la loro incomprensibilità, la riferibilità del consenso ad un intervento diverso da quello eseguito o la sottoscrizione in condizioni di incapacità di comprensione.
Questi i chiarimenti forniti dai giudici (ordinanza numero 21845 del 29 luglio 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso originato dall’azione con cui una donna ha avanzato una richiesta di ristoro economico per i danni – biologico, esistenziale e patrimoniale – subiti a seguito di un’operazione effettuata, a suo dire, pur non avendo prestato il proprio consenso.
Chiara la dinamica della vicenda: la donna racconta di essere stata prima sottoposta ad un intervento per verificare la natura di un nodulo tiroideo e di avere successivamente, ma prima ancora di conoscere l’esito della biopsia, subito una tiroidectomia totale che, a causa della lesione del nervo laringeo sinistro – causata dalla scorretta esecuzione della tiroidectomia –, le ha provocato evidenti e persistenti problemi alla capacità fonetica (disfonia) che ne hanno compromesso la vita di relazione e le hanno impedito di continuare a dedicarsi all’hobby del canto.
Alla base delle lamentele della donna una precisazione: ella spiega che in occasione di entrambi gli interventi non ha prestato il proprio consenso informato, perché i moduli da lei sottoscritti non contenevano la firma di alcun medico – né dello specialista chirurgo né dell’anestesista –. Peraltro, la tiroidectomia si è rivelata non necessaria, come emerso dalla biopsia, i cui esiti erano giunti solo dopo l’intervento, aggiunge la donna.
Nonostante tutti questi elementi, però, per i giudici non vi sono i presupposti per riconoscere un risarcimento alla donna. Ciò perché è illogico pretendere, come fa la donna, di dedurre il difetto di informazione sanitaria e quindi la violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente dal mero fatto che i moduli del consenso informato non sono stati sottoscritti dai sanitari.
Per maggiore chiarezza, comunque, i giudici ricordano che, normativa alla mano, il consenso, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, deve essere documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o attraverso dispositivi che permettano alla persona con disabilità di comunicare e che esso deve essere inserito, in qualunque forma sia stato espresso, nella cartella clinica e nel fascicolo elettronico. Ciò significa che il modulo del consenso ha solo la finalità di documentazione del consenso prestato dal paziente, ma non è indicativo della sua natura esplicita, della sua chiarezza, della sua inequivocità: caratteri che si riferiscono alla dichiarazione negoziale in cui esso si è sostanziato.
Viene dunque in questione la natura, dal punto di vista strutturale, della sottoscrizione, che costituisce un segno significante che in forma scritta esprime consenso e quindi imputazione dell’atto a chi lo sottoscrive, ma lascia impregiudicato il profilo funzionale, cioè quello della sua idoneità per ciò solo a consentire l’esplicazione del diritto all’autodeterminazione sanitaria.
Irrilevante, quindi, la sottolineatura, fatta dalla donna, in merito alla mancata sottoscrizione dei moduli da parte dei medici. Anche perché, pur essendoci alla base del consenso informato l’alleanza terapeutica cui deve ispirarsi il rapporto medico-paziente, ciò non vuol dire che la prestazione del consenso debba essere trattata alla stessa stregua di un atto negoziale che prelude al raggiungimento di un accordo con relativa necessità di sottoscrizione da parte dei contraenti.
Per chiudere il cerchio, infine, i giudici osservano che la donna, per dolersi utilmente della lesione del suo diritto all’informazione sanitaria, avrebbe dovuto invece dimostrare – a titolo esemplificativo – la genericità delle informazioni contenute nel modulo, la loro incomprensibilità, la riferibilità del consenso prestato ad un intervento diverso da quello eseguito, la sottoscrizione del modulo in un momento in cui non era stata in grado di comprendere la natura dell’atto, perché il modulo le era stato somministrato mentre veniva condotta in sala operatoria.

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